Simbolo per eccellenza dell’estate e delle spiagge, le infradito hanno una lunga storia

Data la deperibilità dei materiali con cui venivano costruite le calzature nell’antichità, i reperti scarseggiano. Tuttavia qualche testimonianza si può dedurre da dipinti, sculture e documenti.
È ad esempio grazie a una stele risalente all’incirca al 2250 a.C. che abbiamo scoperto la presenza, già allora, di una scarpa in tutto e per tutto simile all’odierna infradito: la indossava un sovrano accadico, Naram-Sin.

Diffuse già allora sia in Mesopotamia che in Egitto, le infradito avevano suole in legno o in cuoio (ma ne esistevano anche in fibre vegetali, come giunco o papiro intrecciati), assicurate al piede con strisce di pelle oppure foglie di palma o di papiro.
Se la maggioranza delle persone girava scalza, quelle calzature erano esclusiva dei regnanti, dei nobili e delle classi più abbienti, spesso riccamente decorate con pietre e addirittura oro.
Anche nell’antica Grecia e nell’antica Roma si indossavano calzature simili. I greci usavano il fermo tra il primo e il secondo dito (come facciamo perlopiù oggi), mentre i romani tra il secondo e il terzo.

Dall’altra parte del mondo, in Giappone, le tradizionali calzature con sistema infradito, i geta e gli zori cominciarono a diffondersi durante il cosiddetto periodo Heian, cioè tra il 794 e il 1185. Usati ancora oggi, gli zori sono più leggeri, e realizzati in corda di riso, mentre i geta hanno la classica suola in legno rialzata con due tasselli, sviluppata per evitare ai lunghi abiti di strisciare sul suolo e per poter camminare agevolmente nella neve o durante le giornate piovose. In Giappone esistono anche gli okobo, indossati dalle maiko (le apprendiste geisha) e simili ai geta ma con un unico tacco a zeppa al posto dei due tasselli, scavato nella parte anteriore.

In Giappone i tradizionali “geta” cominciarono a diffondersi tra il 794 e il 1185.

Nel ‘900

Le infradito hanno attraversato i secoli per arrivare — mutate nei materiali ma non nelle forme — fino alla contemporaneità.
È soprattutto dagli anni ‘50 che hanno iniziato a dilagare in Occidente come calzatura estiva. I soldati americani che prestarono servizio durante l’occupazione giapponese della seconda guerra mondiale, infatti, cominciarono a usare gli zori. Ma se i giapponesi li indossavano rigorosamente coi calzini (mostrare il piede in pubblico, nella cultura tradizionale giapponese, è considerato maleducato), negli USA l’uso principale divenne quello da spiaggia o in casa, col piede scalzo.

L’idea di realizzare infradito in materiale plastico venne nel 1957 al neozelandese Morris Yock. Vennero chiamate Jandals (dall’unione di Japan e sandals). Al di fuori della Nuova Zelanda presero altri nomi: in Australia thongs, negli U.S.A. flip-flop (come il rumore che fanno quando vengono indossate).

In Italia e nei paesi mediterraneo divennero popolari negli anni ‘60, soprattutto quando le celebrità cominciarono a indossare i sandali infradito prodotti dalle botteghe artigiane di Positano, Sorrento, Amalfi e Capri.

Fenomeno di massa

La vera svolta avvenne nel 1962, quando il marchio brasiliano Havaianas ne creò una variante in gomma, molto resistente e low cost. Ispirata allo zori giapponese (ne riproduce la tradizionale texture della paglia di riso sui cinturini) si diffuse immediatamente tra le classi povere del paese e da allora è tra le calzature più vendute in tutto il mondo, sebbene rappresentino un problema a livello ambientale. Le infradito di scarsa qualità vengono infatti buttate e sostituite spesso, contribuendo ad aumentare la quantità di materie plastiche che si riversano nei mari e negli oceani.

Incuriosite da questa tendenza, nata dal basso, le case di moda hanno iniziato a proporne, soprattutto dagli anni ‘80, versioni più ricercate, talvolta persino di lusso, con pietre preziose e materiali pregiati.

Qualche tecnicismo

Le infradito sono caratterizzate dalla suola bassa, ma ne esistono anche modelli con il tacco o la zeppa.
La tomaia è costituita da due cinturini sistemati a Y, che fuoriescono dalla suola tra il primo e il secondo dito. Le altre due estremità sono fissate alla suola ai due lati del piede.

Non andrebbero indossate per periodi troppo lunghi. La postura potrebbe risentirne per via dello sforzo che compie il piede per restare aggrappato al cinturino tra le dita.

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