Dalle scarpe della mummia Ötzi al Moon Boot
Era il 1991 quando sul confine tra Austria e Italia venne ritrovata la cosiddetta Mummia del Similaun, familiarmente conosciuta come Ötzi. Risalente a oltre 5000 anni fa, il corpo dell’uomo, vissuto nell’Età del rame, è rimasto conservato all’interno di un ghiacciaio, che ha preservato anche il suo corredo di armi, utensili e indumenti. Tra questi ultimi c’erano le calzature: sono tra le più antiche scarpe in pelle finora rinvenute e si tratta di un modello che può essere considerato come l’antenato del doposcì.
La calzatura di Ötzi era costituita da pelle di cervo e vitello per la tomaia, e pelle d’orso per la suola, il tutto tenuto assieme da una rete prodotta con della corteccia. Le suole erano molto larghe, così da distribuire meglio il peso sulla neve, e internamente ricoperte di pelo, in modo da isolare il piede. La scarpa veniva inoltre riempita di erba, così da rendere morbida la calzata, trattenere il calore corporeo e tenere fuori il freddo.
Non molto diversi da quelli della Mummia del Similaun erano gli scarponcini in pelle prodotti per millenni sia dai nativi americani sia dai popoli aborigeni dell’Artico. Questi ultimi inventarono i Mukluk, degli scarponcini in pelle di caribù o di foca. Leggerissimi e con una suola morbida, permettevano ai cacciatori di muoversi agilmente e silenziosamente. Per l’isolamento termico, d’inverno si usava foderarli internamente con pellicce di caribù, di volpe, di procione o di coniglio.
Vengono ancora prodotti come calzatura tradizionale, e le loro linee e la loro costruzione hanno ispirato molti modelli moderni di doposcì.

Moon Boot - modello della linea Icona

Moon Boot - modello della linea Lab69

Moon Boot - modello della linea ProTECHt
Dalle pedule al Moon Boot
In epoca moderna, tuttavia, le classiche scarpe da neve erano degli spartani scarponi in pelle, che venivano utilizzati anche per sciare. Uno dei distretti principali per la produzione era in Italia, a Montebelluna, in provincia di Treviso. Qua già dal Medioevo ferveva l’attività calzaturiera, ma fu dalla seconda metà dell’800 che il settore cominciò a espandersi.
Agli inizi del ‘900 c’erano già più di 200 calzolai, che nei decenni successivi avrebbero dato vita a una delle zone con la più alta concentrazione al mondo di eccellenze nel campo della calzatura sportiva e da montagna: Tecnica, Nordica, Dolomite, Geox, Lotto, Diadora e tante altre.
È qui che nel 1969 verrà sviluppato un modello che cambierà l’intero settore: è un doposcì in materiali sintetici, leggerissimo, pratico, comodo e soprattutto capace — a differenza delle classiche pedule da montagna — di andare incontro ai dettami della moda: il Moon Boot.
Nel ‘69 la missione Apollo 11 portò per la prima volta l’uomo sulla Luna. E furono proprio gli stivali indossati da Neil Armstrong, Michael Collins e Buzz Aldrin a dare l’ispirazione a Giancarlo Zanatta, imprenditore del distretto di Montebelluna e fondatore, nel 1960, di Tecnica, calzaturificio nato dell’evoluzione della bottega artigiana aperta nel 1930 da suo padre Oreste.
Il Moon Boot di Zanatta divenne presto un’icona a livello mondiale. Era il primo doposcì sintetico nonché il primo ambidestro (ci si poteva tranquillamente mettere l’uno o l’altro stivale senza problemi). Ogni formato copriva ben quattro taglie, era comodissimo e la suola larga permetteva di camminare bene sulla neve. La possibilità di produrlo in serie e il prezzo raggiungibile contribuirono all’enorme successo, che ha anche dato vita a una lunghissima serie di imitazioni.
Il Moon Boot diede anche un’enorme accelerazione all’economia del distretto di Montebelluna (dove oggi sorge il Museo dello scarpone e della calzatura sportiva): se nel ‘72 le aziende legate alla produzione di doposcì erano circa 15, alla fine degli anni ‘70 erano più che decuplicate, arrivando a 160.
Oggi di doposcì se ne producono di ogni tipo e con i materiali più all’avanguardia, ma il Moon Boot rimane l’archetipo, tanto da essere stato inserito anche nella collezione permanente del prestigioso MoMA di New York.