Il simbolo per eccellenza della femminilità

Simbolo per eccellenza della femminilità, modello con cui, prima o poi, tutti i designer di calzature si sono misurati, pezzo irrinunciabile del guardaroba di ogni donna, la décolleté ha origine nel ‘500 e fino al diciottesimo secolo viene utilizzata soprattutto dagli uomini, inizialmente in ambito militare, poi come scarpa da ballo, per entrare finalmente a far parte dell’abbigliamento femminile solo nell’800.

Caratterizzata da uno scollo a V e da un tacco di misura, diametro e forma variabili, la décolleté da oltre un secolo è testimone dei cambiamenti della società in cui viviamo, delle tecnologie (che hanno permesso ai tacchi di raggiungere altezze vertiginose) e del ruolo della donna all’interno di essa.

Manolo Blahnik

Manolo Blanik

Con il tacco basso a inizio ‘900; più sensuale nel periodo tra le due guerre, ai piedi di molte star della nascente industria cinematografica hollywoodiana; comode, più essenziali, e di nuovo con il tacco basso negli anni ‘40; provocanti, “da pin-up” nel secondo dopoguerra, quando comincia a diffondersi lo stiletto; abbinate alla minigonna negli anni ‘60; quasi scomparse nei ‘70, per ritornare poi di gran moda nel decennio successivo, e da allora rimaste sempre sulla cresta dell’onda.

Da Coco Chanel a Raymond Massaro, da Ferragamo a Fendi, da Blahnik a Louboutin, fino a Casadei e alla sua iconica Blade, la décolleté attraversa le decadi e le mode, sempre diversa eppure sempre uguale, non solo una scarpa ma la scarpa.
Come scrive Armando Pollini, nel libro Il Tacco a spillo. Fascino e seduzione, pubblicato dal Museo Internazionale della Calzatura “P. Bertolini” di Vigevano, «le scarpe delle donne esprimono uno stato d’animo, un desiderio: voglio stare comoda, voglio apparire professionale e, con i tacchi a spillo, voglio sedurre».

 

Proprio Vigevano, col suo storico distretto calzaturiero, ha giocato un ruolo fondamentale nello sviluppo della décolleté e, come conseguenza del successo di quest’ultima, nell’industrializzazione dei calzaturifici italiani. Come racconta Pollini, infatti, tra la fine degli anni ’40 e l’inizio dei ’50 gli imprenditori si sfidavano a chi riusciva a creare scarpe con tacchi più sottili ma anche più resistenti, arrivando infine ad escogitare un tacco per metà in legno e metà in alluminio, e presentandolo, nel 1953, alla Mostra Mercato Internazionale delle Calzature di Vigevano, manifestazione “antenata” dell’odierno MICAM.

Tale impegno, insieme alla grande richiesta di calzature col tacco a spillo, spinse a sviluppare una produzione in serie e a modernizzare il modo in cui si realizzavano le scarpe in Italia.

QUALCHE TECNICISMO

Nonostante le caratteristiche comuni siano la scollatura, il tacco e l’assenza di lacci, non esiste un solo tipo di décolleté. La “tassonomia” di questo tipo di calzatura è anzi piuttosto complicato, con nomi che cambiano di paese in paese.

Il tacco può essere a spillo (caratterizzato da un profilo a S), a stiletto (dritto), squadrato, a cono. Il tacco basso, dai 2 ai 5 centimetri e introdotto negli anni ‘50, solitamente si chiama kitten heel.
Se c’è un cinturino alla caviglia la décolleté diventa una ankle strap mentre se il cinturino è sul dorso del piede, accompagnato da un tacco non troppo alto, si parla di Mary Jane.

La open toe ha la punta aperta, nella peep toe l’apertura è un po’ più stretta e lascia vedere solo le prime 2 o 3 dita del piede.
Quando invece la punta è chiusa ma a essere aperti sono i lati della scarpa, viene chiamata D’Orsay.

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