Come saranno i nuovi modelli di comunicazione  e l’evoluzione dei consumatori durante e dopo la pandemia? A queste domande  ha cercato di rispondere il primo di 3 incontri in streaming sul cambiamento, sulle visioni e sulle nuove opportunità nel sistema fashion. A organizzarli, UniCredit per l’Italia in partnership con Pitti Immagine, che hanno riunito istituzioni e portavoce del settore. Il legame cultura e moda, anzi il concetto stesso che la “moda è cultura” è più volte tornato alla ribalta nei vari interventi, come l’importanza di temi quali sostenibilità, digitalizzazione, formazione. Soni questi i “pillar” su cui si dovrà fondare la moda secondo Carlo Capasa, presidente di Camera Nazionale della Moda Italiana, che con i suoi 120 associati in rappresentanza di 250 brand rappresenta con l’indotto il 70% del settore che quest’anno perde circa 28/29 miliardi di fatturato.  La strada del digitale è stata già ampiamente percorsa con le ultime due versioni physical delle fashion week di luglio e settembre, mentre la pandemia, secondo Capasa, ha messo in luce la capacità di resilienza e di fare sistema delle imprese, grazie anche alla forza dei distretti. Cruciale oggi è la sostenibilità, ambientale e sociale, che secondo Raffaello Napoleone, ceo di Pitti Immagine “è sia un problema che una opportunità da cogliere per far ripartire il tessile/moda, che non può prescindere dal digitale, dall’e-commerce, ma anche dalle nuove sfide offerte dall’intelligenza artificiale, dalla realtà virtuale, dall’uso del Cloud, dallo sviluppo della blockchain, dalla tracciabilità del prodotto e dall’innovazione dei materiali.  Paladina della sostenibilità è Livia Firth di EcoAge che ha lanciato l’allarme:  il momento storico attuale potrebbe fornire l’ultima occasione per un upgrade del sistema moda e per cambiare le cose. Come si può fare il re-fashion del mondo? Secondo la relatrice, la storia e la narrativa del prodotto può fare la differenza passando “da che designer indossi, a che storia indossi” e i recenti Green Carpet Fashion Award hanno dimostrato che anche le celeb possono lanciare messaggi concreti attraverso la moda.

Anche Matteo Lunelli, presidente di Altagamma, ha ribadito che  ci sono grandi opportunità per il made in Italy in grado di esprimere un nuovo concetto di eccellenza e di “nuovo umanesimo” (oggetti più duraturi, qualità più intrinseca), basato su un sistema valoriale fondato sul saper fare. Maria Luisa Frisa, direttore del Corso di Laurea in design della moda e arti multimediali alla Iuav, ha messo il dito nella piaga: “si dice che la moda sia cultura, ma non si fa, soprattutto a livello istituzionale”, e la formazione, che concorre alla definizione di cultura, ha avuto una battuta di arresto: la moda è sempre stata legata alla creatività, ma oggi ci vuole anche una volontà politica con una agenda per il futuro. Claudio Marenzi, ceo di Herno, ha ribadito che il Governo stesso si è quasi sempre vergognato a parlare di moda, nonostante il peso che essa abbia nella bilancia commerciale del Paese.

Nomisma ha presentato uno studio sulla filiera del fashion e del lusso; partendo dall’individuazione degli scenari innescati dalla pandemia (3 milioni di persone in smart working, spending review in contrazione, più attenzione ai valori del prodotto e alla sostenibilità ambientare e sociale) si è arrivati a identificare i comportamenti futuri: consumatori disposti a pagare di più per la trasparenza e la durevolezza dei prodotti, necessità di conoscere la provenienza dei prodotti e il loro impatto ambientale, made in Italy come valore da difendere. Che per le aziende vuol dire riportare le produzioni in Italia.