Il sistema moda italiano, composto per lo più da piccole e medie imprese, deve competere con i grandi gruppi del lusso a livello globale; di conseguenza l’intera filiera, dalle aziende alle Associazioni, dalle scuole alle manifestazioni fieristiche, deve poter contare su manager e figure professionali sempre più preparate e flessibili per raccogliere le sfide del futuro.

È stato questo l’argomento dibattuto durante un panel a Fashion Graduate Italia, l’evento dedicato alla formazione in ambito moda che si è svolto a Milano dal 26 al 29 ottobre. Al tavolo dei relatori erano presenti tutti gli “attori” della filiera, coinvolti in un processo formativo in continua evoluzione. 

Come ha detto Giulia Pirovano, presidente Piattaforma Sistema Formativo Moda, nella formazione alta – universitaria e accademica – oggi sono richiesti, e quindi si formano, figure di visual merchandising, marketing, fashion design, ma con competenze digital a 360 gradi (dai social all’e-commerce). E si fa strada una nuova figura, quella del “problem solving” in grado di far fronte all’imprevedibilità e mutevolezza dei mercati. 

Se le scuole italiane sono riconosciute fra le migliori al mondo, esiste però un freno all’internazionalizzazione dell’offerta formativa, come ha specificato Raffaello Napoleone, AD di Pitti Immagine, e cioè la difficoltà da parte degli studenti stranieri di ottenere i visti per venire a studiate in Italia, limitando quindi il numero delle iscrizioni, ma anche la possibilità di “esportare” attraverso gli studenti la conoscenza del nostro paese.

Anche Tommaso Cancellara, AD MICAM Milano e segretario generale Assocalzaturifici, ha evidenziato come il settore calzaturiero sia composto da circa 5000 aziende molto piccole e con fatturati bassi, che finora sono entrate in modo pioneristico nei mercati e con scarsa managerialità. Quindi oggi non ci vuole solo coraggio, ma anche skill specifiche con conoscenze di produzione e distribuzione.

Stefania Lazzaroni, direttore generale di Altagamma, osservatorio privilegiato sulle eccellenze italiane, ha ribadito che l’education è una sfida importante per intercettare nuovi consumatori, ma ci deve essere anche un ritorno “al fare” perché la creatività è un primato italiano da preservare. 

La percezione all’estero del sistema moda Italia e quindi della sua creatività è positiva, ha ribadito Sara Sozzani Maino, International brand ambassador di Camera della Moda Italiana; i designer stranieri vedono l’Italia come un punto di arrivo per venire a produrre le loro collezioni. Quindi il made in Italy è un marchio di qualità, dall’elevato valore aggiunto. Se le aziende devono rimettersi in gioco, anche le manifestazioni del settore devono ripensare il proprio ruolo.

Massimiliano Bizzi, ideatore e AD di White, è convinto che la moda debba essere meno elitaria e aprirsi di più e quindi vanno sperimentate nuove formule fieristiche che, come sta facendo White, uniscano la formula B2B e B2C con iniziative aperte al pubblico. 

Il ruolo di formazione e di sensibilizzazione sulle problematiche e sulle sfide future spetta anche alle Associazioni, come hanno ribadito Alberto Scaccioni, segretario generale di Centro di Firenze per la Moda Italiana, ente che aiuta le aziende nel processo di internazionalizzazione, e Federico Brugnoli, in rappresentanza di Unic, che ha sollevato il problema della sostenibilità. Gianfranco Di Natale, direttore generale di Confindustria Moda, ha ricordato il ruolo della neonata Istituzione che è quello di tutelare maggiormente la filiera moda che vale 95 miliardi di fatturato, di cui 62 rivolti all’export.