Figure professionali tradizionali ed emergenti: nelle calzature c’è bisogno di tecnici e di manager di nuova generazione

[In cover: Polina Zimmerman_Pexels]

Nel settore calzaturiero non si può prescindere dalle competenze tecniche specifiche nella produzione delle scarpe, ma il digital, l’omnichannel, la sostenibilità richiedono nuove figure professionali da inserire in azienda o in modalità outsourcing. Tommaso Cancellara, General Manager Assocalzaturifici, fa chiarezza sulle professioni del futuro “ma non dimentichiamo che il modellista è la vera rockstar, contesa dalle aziende”, precisa. Un monito per i giovani a non sottovalutare la formazione tecnica. E uno sprone a scegliere corsi per professionalità emergenti.

Come sta cambiando o cambierà la formazione per il settore calzaturiero?

Facciamo un distinguo perché non vorrei che l’innovazione, nella quale io credo moltissimo, prenda il sopravvento su quello che è il core business delle aziende, cioè fare calzature che richiedono operazioni e figure specifiche come i modellisti, i montatori e premontatori, cioè professioni tecniche non innovative, ma indispensabili, che purtroppo vivono un gap generazionale che rischia di penalizzarle. Temo che ci sia un vuoto tecnico in alcuni distretti e un surplus in altri per cui a mio avviso, le regioni, le istituzioni, le associazioni e le scuole di formazione devono riuscire a fare sistema per rispondere alla domanda e all’offerta.

Le nuove professioni, invece?

Ci sono alcuni ruoli che sono sempre più richiesti: i direttori di produzione, ad esempio, che devono ingegnerizzare le linee di produzione. Molte aziende producono per i grandi gruppi e le label internazionali che “comprano del tempo”, non comprano più la professionalità, quindi per ottimizzare i tempi di produzione ci vuole un direttore che capisca le nuove tecniche produttive, integri l’industria 4.0 e comprenda le esigenze di queste grandi multinazionali. Vi è poi un filone legato alla digitalizzazione a 360 gradi, che non coinvolge solo la vendita digitale, ma abbraccia anche la produzione. Quindi figure competenti su macchinari 4.0, internet of things, connessione a sistemi gestionali. Digitalizzazione vuol però dire anche vendita online, che è sempre più multicanale e quindi richiede un omnichannel  manager che capisca le varie opzioni di vendita digitale, diverse da paese a paese, sappia di logistica internazionale, che è sempre più complessa e integrata nelle decisioni strategiche aziendali.

Senza sottovalutare la parte di produzione digitale che è legata a sviluppi di modelli in 3D.  La prototipia in 3D sta diventando sempre più rilevante. Ci sono aziende che forniscono un campionario in 3D, senza dover produrre tutti i campioni. E le aziende devono sapere valutare le possibilità di outsourcing disponibili sul mercato.

Il nuovo mondo della generazione Z, che entro il 2030 rappresenterà oltre il 50% degli acquisti, comporterà una sempre più profonda conoscenza dei social che vengono integrati nel settore della vendita e quindi bisogna capire come vendere sul metaverso, come monetizzare Twitch. Questo comporta figure, non necessariamente in azienda, magari in outsoucing, preparate a gestire nuovi canali di vendita digitale nell’ottica della multicanalità.

Tommaso Cancellara, General Manager Assocalzaturifici, fa chiarezza sulle professioni del futuro

Anche la svolta sostenibile implica nuove competenze.

Certamente, perché la sostenibilità è destinata a pervadere tutta l’organizzazione, da chi fa gli acquisti a chi produce e vende. E’ ormai necessario che si passi alla terza fase della sostenibilità, quella della concretezza, dopo la prima di informazione e la seconda di tentativi. Quindi l’azienda deve avere dei parametri di sostenibilità  a 360 gradi, cioè non solo materiali innovativi e eco-friendly, ma una sostenibilità  ambientale, sociale, economica e finanziaria. Quindi saranno sempre più richiesti i sustainability manager. Questo discorso si fonde anche con la tracciabilità della filiera e quindi ci vogliono esperti della filiera a monte e a valle. A questo proposito arriveranno dei regolamenti europei come la responsabilità estesa del produttore (EPR) per cui ogni azienda deve rigenerare, mettere in riciclo o rinnovare tanto materiale quanto viene prodotto.

Le scuole si stanno adeguando a rispondere a queste nuove professionalità?

Vedo un gap rilevante dovuto alla mancanza di fondi perché c’è bisogno anche di hardware nuovo, di macchinari che richiedono investimenti importanti e non c’è una visione strategica di sistema per arrivare a una progettualità condivisa, altrimenti si rischia che le aziende debbano sempre di più formare personale al loro interno.

Non c’è una regia comune?

Confindustria Moda, ad esempio, ha creato il Comitato Education che sta cercando di mettere in rete tutte le scuole che si occupano di moda. Un compito non certo facile perché ogni scuola è sotto l’egida della propria regione, oppure alcune hanno fondi privati, altre vivono solo di sovvenzioni pubbliche, quindi il settore dell’istruzione si muove a velocità diverse. Inoltre, l’offerta formativa è molto frammentata e difficile da comprendere fra ITS, IFTS, Accademie, università che hanno corsi moda, eccetera.  Ci vuole quindi un ripensamento generale del sistema.

Flavia Colli Franzone